Accessibility Tools

Skip to main content

La preoccupazione non è (sempre) un male

La preoccupazione è spesso vista come qualcosa di puramente negativo. È associata all’ansia, alla paura del futuro e alla stanchezza mentale. E sì, quando è eccessiva, può essere paralizzante e dannosa per la salute. Ma… e se ti dicesse che la preoccupazione ha anche un lato utile?

La verità è che, in dosi moderate, la preoccupazione può avere un impatto positivo sul nostro funzionamento emotivo e cognitivo. Ecco due modi scientificamente fondati in cui la preoccupazione può essere un alleato.

La preoccupazione attiva il cervello e motiva all’azione

Quando ci troviamo di fronte a una minaccia reale o immaginaria, il nostro cervello entra in modalità di allerta. Questa risposta, spesso scomoda, ha uno scopo: mobilitarci per risolvere i problemi.


Gli studi dimostrano che una preoccupazione moderata può portare a una migliore preparazione e a un migliore processo decisionale. Ad esempio, anticipando i possibili rischi, come gli effetti di una prolungata esposizione al sole, siamo più propensi a prendere misure preventive, come applicare regolarmente la protezione solare.


La ricercatrice Kate Sweeny dell’Università della California ha scoperto che questo tipo di preoccupazione è associata alla capacità di pianificazione, a un processo decisionale ponderato e a comportamenti sanitari più responsabili.


L’ansia e la preoccupazione cronica possono essere disfunzionali, ma un certo grado di preoccupazione è cognitivamente benefico: ci costringe a riflettere, a prevedere le conseguenze e ad agire in modo proattivo.

La preoccupazione come “cuscinetto emotivo”

Sapevi che preoccuparsi può aiutarti ad affrontare meglio le cattive notizie?

Preoccuparsi ha una funzione interessante: ci permette di simulare mentalmente scenari negativi, preparando il cervello al peggio. Questo può ridurre l’impatto emotivo quando affrontiamo situazioni difficili.

In psicologia, questo fenomeno è noto come “bracing”, ovvero l’atto di prepararsi emotivamente alle cattive notizie. Gli studi dimostrano che chi si preoccupa moderatamente tende a riprendersi più rapidamente dagli eventi negativi perché ha già “provato” emotivamente questi scenari.

Inoltre, la preoccupazione crea un contrasto emotivo che può rendere le esperienze positive ancora più piacevoli. Dopo periodi di tensione e ansia, una risata o un momento felice tendono a essere percepiti più intensamente, come se il cervello dicesse: “Finalmente un sollievo!”. Questo effetto è stato osservato negli studi sull’amplificazione emotiva in contesti di contrasto affettivo.

Il segreto sta nel dosaggio

Preoccuparsi troppo può paralizzarci, sfinirci e alimentare la ruminazione mentale. Ma preoccuparsi troppo poco può anche renderci imprudenti o impreparati.

L’ideale è trovare un equilibrio. Un po’ di preoccupazione ci aiuta a essere più consapevoli, più preparati e più resistenti. È come un allarme emotivo che non dovremmo ignorare, ma che non dovrebbe nemmeno suonare 24 ore al giorno.

La prossima volta che ti sorprendi a preoccuparti di qualcosa, chiediti: “Questa preoccupazione mi aiuta ad agire o mi impedisce di andare avanti?”.

Se è la prima, forse non sei così pessimista come pensi: stai solo usando uno strumento naturale della tua mente per affrontare la vita.

Evitare lo Stress: Strategia sbagliata… o necessaria?

Quante volte hai sentito dire che non dovresti evitare ciò che ti stressa, ma piuttosto affrontarlo? 

La verità è che questa idea, sebbene ben intenzionata, semplifica eccessivamente la complessità della nostra vita emotiva. 

Non tutte le situazioni richiedono un confronto diretto. 

Non esistono strategie di coping “buone” o “cattive”. Esistono strategie che funzionano meglio o peggio a seconda del contesto. E solo sperimentando possiamo capire cosa funziona davvero per noi. 

Oggi condivido con te quattro strategie di evitamento che, utilizzate con consapevolezza, possono essere utili strumenti per gestire lo stress: 

Imparare a dire “NO” 

Dire “sì” a tutto e a tutti è una strada sicura verso il burnout. 

Inizia a distinguere ciò che conta davvero per te e datti il permesso di dire “no” senza sensi di colpa. 

Riduci il tempo trascorso con le persone che ti causano stress 

Se qualcuno intorno a te è una fonte costante di tensione e non sei ancora riuscito a trovare una soluzione efficace, prendi in considerazione l’idea di limitare il tempo che trascorri con lui. 

Controlla il tuo ambiente 

Non possiamo sempre cambiare tutto ciò che ci circonda, ma possiamo fare dei piccoli aggiustamenti: 

Se guardare il telegiornale ti rende ansioso, riduci quel tempo. 

Se lo shopping è una fonte di stress, esplora le opzioni online. 

Identifica i tuoi fattori scatenanti e agisci su ciò che puoi controllare. 

Semplifica la tua agenda 

Esamina le tue attività quotidiane e chiediti: “È davvero necessario ora?”. 

Eliminare o rimandare ciò che non è urgente può darti più spazio mentale ed emotivo. 

È importante sottolineare che l’evitamento da solo non dovrebbe essere l’unica strategia. Se evitiamo tutto ciò che ci provoca disagio, queste situazioni diventano ancora più difficili da affrontare in futuro. 

Ma con equilibrio e consapevolezza, può essere un’opzione valida e utile. 

Il confronto non è sempre sinonimo di coraggio. A volte saper evitare è segno di saggezza. 

La Coscienza Genitoriale

Essere genitori non è solo un ruolo o una funzione biologica: è un viaggio profondo di crescita personale, che richiede presenza, empatia, pazienza e consapevolezza. In questo percorso, la coscienza genitoriale rappresenta la capacità di vivere la genitorialità in modo riflessivo e intenzionale, andando oltre automatismi, modelli appresi o pressioni sociali.

Non si tratta solo di cosa si fa, ma soprattutto del perché e del come lo si fa. Significa porsi delle domande, riflettere sulle proprie scelte educative, riconoscere le emozioni che emergono nel rapporto con i figli e interrogarsi su come queste influenzino la relazione.

È un’attitudine che implica:

  • ascolto profondo, sia dei figli che di sé stessi;
  • autoriflessione, per non agire solo in base a reazioni impulsive o a schemi familiari inconsci;
  • intenzione, ovvero l’atto di educare con uno scopo chiaro e coerente con i valori che si vogliono trasmettere.

Modelli Interiorizzati

Molto spesso, il nostro modo di essere genitori è influenzato dai modelli che abbiamo interiorizzato da bambini: ciò che abbiamo vissuto con i nostri genitori, nel bene e nel male. La coscienza genitoriale comporta anche l’atto coraggioso di rivedere questi modelli, per scegliere consapevolmente quali ripetere, quali trasformare, e quali interrompere.

Questa presa di coscienza può essere scomoda, ma è anche liberatoria: permette di non reagire in automatico, ma di scegliere ogni giorno che tipo di genitore si vuole essere.

Educare non controllare

Un genitore consapevole sa che educare non significa controllare, ma accompagnare. Non è un’azione unidirezionale dall’alto verso il basso, ma una relazione viva, fatta di scambio, ascolto e reciproca crescita. I figli non sono “da plasmare” secondo aspettative rigide, ma esseri unici da accogliere, rispettare e sostenere nel proprio percorso.

Il ruolo dell’esempio

La coscienza genitoriale ci ricorda che l’esempio vale più di mille parole. I bambini apprendono prima di tutto osservando: come gestiamo lo stress, come affrontiamo i conflitti, come comunichiamo i nostri bisogni, come ci prendiamo cura di noi stessi. Un genitore che lavora su di sé, che chiede scusa quando sbaglia, che si mostra autentico, trasmette molto più di mille regole astratte.

Essere genitori consapevoli non significa essere perfetti. Al contrario, significa accettare la propria imperfezione, imparare dai propri errori, e sapersi mettere in discussione. È un atto di umiltà e di amore, che crea un clima relazionale sano, basato sulla fiducia e sul rispetto reciproco.

La coscienza genitoriale è senza altro un cammino, non una meta. Richiede tempo, dedizione e tanta gentilezza verso sé stessi. Ma è anche una delle esperienze più trasformative che si possano vivere. Perché, in fondo, educare un figlio significa anche educare sé stessi: a essere più presenti, più umani, più autentici.